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Diritto d’autore: è reato utilizzare software duplicati al “fine di trarne profitto”

 

La sentenza n. 25104/2008 della Corte Suprema, depositata il 19 giugno 2008, stabilisce che è penalmente responsabile, ai sensi dell’art. 171 bis della L. 27 aprile 1941 n. 633 (1), il professionista che utilizza software illegali nella propria attività.

La Corte in particolare afferma che, a seguito della modifica della L. n. 633/1941 ad opera dall’art. 13 della L. n. 248/2000, per la configurabilità del reato di cui al suddetto articolo, non è più richiesto il dolo specifico del “fine di lucro” ma quello del “fine di trarne profitto”. A seguito di tale modifica, come sostiene la stessa Corte di Cassazione, si è determinata un’accezione più vasta del profilo soggettivo del reato che non richiede necessariamente una finalità direttamente patrimoniale, essendo sufficiente l’utilizzo per trarne profitto.

 A.P.

Testo integrale della sentenza della Cassazione Penale n. 25104 dell' 8 maggio 2008

 

(1) Il comma 1 dell’art. 171 bis recita “Chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE), è soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni e alla multa da euro 2.582 a euro 15.493".

 

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