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IL CODICE
DELLE COMUNICAZIONE ELETTRONICHE: UNA PECULIARE DISCIPLINA CONTRATTUALE
di Roberto Pascarelli
Il 16 settembre 2003 è entrato in vigore il Codice delle Comunicazioni
Elettroniche, adottato con il Decreto Legislativo n. 259 del 1 agosto 2003, ora
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 214 del 15 settembre 2003. Il Codice,
composto da 221 articoli, riunisce i due testi preliminarmente approvati dal
Governo nei mesi scorsi. Si tratta di un intervento legislativo di particolare
importanza, che sostituisce il codice postale, di bancoposta e telecomunicazioni
del 1973. L’Italia è tra i primi Paesi dell'Unione Europea che si è adeguato al
nuovo quadro legislativo europeo in materia di istituzione, autorizzazione e
accesso alle reti e servizi di comunicazione elettronica, normativa entrata in
vigore il luglio 2003.
Di particolare interesse appaiono sotto il profilo privatistico le disposizioni
contenute nell’art. 70, il quale detta una particolareggiata disciplina dei
contratti stipulati fra consumatori ed imprese che forniscono “la connessione o
l'accesso alla rete telefonica pubblica”. Doveroso appare il richiamo alle
definizioni contenute nell’art. 1, ai sensi del quale per consumatore deve
intendersi “la persona fisica che utilizza un servizio di comunicazione
elettronica accessibile al pubblico per scopi non riferibili all'attività'
lavorativa, commerciale o professionale svolta”. Per quanto riguarda, invece, il
concetto di rete telefonica pubblica, questa è definita come “una rete di
comunicazione elettronica utilizzata per fornire servizi telefonici accessibili
al pubblico”. La rete telefonica pubblica consente il trasferimento di
comunicazioni vocali e altre forme di comunicazione, quali il facsimile e la
trasmissione di dati, tra punti terminali di rete.
I contratti di cui all’art. 70, 1° comma, possono essere stipulati con “con una
o più imprese” del settore. Questa disposizione, oltre che riflettere il
superamento del regime di monopolio del settore della telefonia, è adeguata al
nuovo quadro regolatorio europeo in materia di istituzione, autorizzazione e
accesso alle reti e servizi di comunicazione elettronica, entrato in vigore il
25 luglio 2003.
La disciplina dei contratti oggetto d’esame, salve le disposizioni del nuovo
codice delle comunicazioni elettroniche, sembrerebbe doversi ricavare dagli artt.
1559 e ss. del Codice Civile relative al contratto di somministrazione
(fornitura).
La somministrazione (o fornitura) è un tipico contratto di durata, in cui sono
presenti molteplici prestazioni distinte ed autonome seppur connesse, proiettate
nel tempo per soddisfare un interesse periodico o continuativo dell’accipiens.
In passato la giurisprudenza non ha mancato di ricondurre nell’alveo di questa
specie contrattuale il contratto di utenza telefonica, equiparato al contratto
di somministrazione di energia elettrica, di gas, di acqua..
La disciplina di cui all’art. 70 appare peculiare in quanto si sostanzia in una
lunga serie di disposizioni (lett. a – g) relative al contenuto dei contratti di
fornitura di servizi di comunicazione elettronica. Queste prescrizioni
rappresentano un limite alla generale autonomia contrattuale delle parti. La
libertà di fissare il contenuto del contratto è espressamente stabilita
dall’art. 1322 c.c., il quale però ne restringe l’ambito con riguardo ai limiti
imposti dalla legge.
Per quanto riguarda le singole indicazioni che il contratto di utenza telefonica
deve contenere, nel loro complesso esse tendono a rendere edotto il consumatore
sulla tipologia e sulle modalità di erogazione dei servizi offertigli.
Il requisito di cui alla lett. a), in particolare, (denominazione e indirizzo
del fornitore del servizio) consente di individuare con precisione il gestore
telefonico cui il consumatore è legato contrattualmente. La denominazione non è
altro che il “nome” di una società di capitali e a differenza della ragione
sociale delle società di persone può essere “in qualunque modo formata” (art.
2326 c.c.), salvo i limiti posti dall’ordine pubblico e dal buon costume.
L’indicazione dell’indirizzo, invece, assume importanza alla luce del disposto
dell’art. 1335 c.c., che stabilisce una presunzione di conoscenza valida per
tutte le dichiarazioni recettizie, che si reputano conosciute nel momento in cui
giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di esser stato
senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
Ai sensi dell’art. 70, 1° comma lettera b) il contratto di utenza telefonica
deve indicare inoltre, “i servizi forniti, i livelli di qualità dei servizi
offerti e il tempo necessario per l'allacciamento iniziale”. Queste indicazioni
appaiono idonee a definire con precisione gli impegni contrattuali assunti dalle
imprese fornitrici dei servizi di comunicazione elettronica, nonché a valutare
un loro eventuale inadempimento (art. 1218 ss. c.c.). L'indicazione dei livelli
di qualità dei servizi offerti appare poi strumentale all'esercizio dei diritti
di indennizzo e rimborso riconosciuti al consumatore dalla lett. f) , allorché
gli standard qualitativi previsti contrattualmente vengano violati.
Considerazioni analoghe a quelle sin qui svolte possono essere formulate in
relazione alla prescrizione di cui alla lett. c) che impone di indicare nel
contratto “i tipi di servizi di manutenzione offerti”.
I contratti di cui all'art. 70, 1° comma, inoltre devono indicare "il dettaglio
dei prezzi e delle tariffe, nonché le modalità secondo le quali possono essere
ottenute informazioni aggiornate in merito a tutte le tariffe applicabili e a
tutti i costi di manutenzione" (lett. d). Soltanto in presenza di queste
informazioni il consumatore avrà la possibilità di valutare la convenienza
economica del servizio di cui fruisce. In questa ipotesi si dovrebbe ammettere
l’esperibilità dell’azione di cui all’art. 2033 c.c., ovvero dell’azione
risarcitoria, salvo il disposto dell’art. 84 sulla risoluzione extragiudiziale
delle controversie. In proposito si osserva che di regola chi ha eseguito un
pagamento non dovuto ha diritto di agire ex art. 2033 per ripetere ciò che ha
pagato, a prescindere dal fatto di essere caduto in errore. Ha inoltre diritto
ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era
in malafede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda, ma
non al risarcimento del danno. L’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c., invece,
parrebbe esperibile allorché il gestore telefonico abbia con documenti falsi
creato un’apparente posizione debitoria.
Nel contratto di connessione o accesso alla rete telefonica pubblica, ai sensi
dell’art. 70, 1° comma lett. e), deve essere presente l’indicazione della durata
del contratto. Il disposto della lett. e), inoltre, impone di indicare
espressamente “le condizioni di rinnovo e di cessazione dei servizi e del
contratto”, permettendo così alle parti di non rimanere vincolate ad un negozio
non più confacente alle proprie aspettative.
La lett. f) dell’art. 70, 1° comma, prevede il diritto del consumatore ad essere
indennizzato e rimborsato “qualora non sia raggiunto il livello di qualità' del
servizio previsto dal contratto”. Questa disposizione dovrebbe essere coordinata
con il disposto dell’art. 84 che prevede che l’Autorità adotti procedure
extragiudiziali per l'esame delle controversie in cui sono coinvolti i
consumatori e gli utenti finali, prevedendo nei casi giustificati un sistema di
rimborso o di indennizzo. Per facilitare l’accesso alla risoluzione
stragiudiziale delle controversie il contratto deve indicare il modo in cui
possono essere avviati i procedimenti previsti dall'articolo 84 (lett. g).
Il sistema ora descritto lascia “ferme le disposizioni vigenti in materia di
risoluzione giudiziale delle controversie” (art. 84, 4° comma).
Il testo delle norme appena citate sembrerebbe disvelare un’incongruenza:
mentre, infatti, l’art. 70, 1° comma, riconosce al consumatore una duplice
pretesa, indennizzo e rimborso, l’art. 84 pone questi due diritti in rapporto di
alternatività.
Il Legislatore non chiarisce quali sanzioni di carattere civilistico derivino
dall’omessa indicazione dei requisiti di cui all’art. 70, 1°, comma, c.c.. In
proposito si osserva che allorché si riconosca il carattere imperativo della
norma oggetto d’esame dovrebbe considerarsi applicabile l’art. 1418, 1°, comma
c.c. ai sensi del quale: “Il contratto è nullo quando è contrario a norme
imperative, salvo che la legge disponga diversamente”.
L’evidente rigidità di questa disposizione normativa è temperata in via
interpretativa da dottrina e giurisprudenza. L’art. 1418, 1° comma, infatti,
così formulato, offre la possibilità di evitare la nullità non solo quando essa
sia espressamente esclusa, o quando sia prevista una sanzione civilistica
incompatibile (annullabilità, risoluzione, obbligo di dismissione, ecc.), ma
anche quando l’interpretazione della norma violata porti ad ammettere la
sopravvivenza del contratto.
In questa direzione la giurisprudenza ha finito in concreto per ricorrere alla
più ampia discrezionalità, delegando al singolo giudicante un esame caso per
caso affinché accerti di volta in volta, se e quando la trasgressione di
determinati comandi o divieti acquisti rilevanza sulla economia dei rapporti
privati e stabilisca se “la ragione che ha determinato l’emanazione della norma
proibitiva si rifletta direttamente sull’autonomia privata comprimendo o
limitandone il campo di operatività”.
Alla luce di quanto sin qui rilevato sembrerebbe potersi asserire che il
contratto di utenza telefonica mancante di uno dei requisiti di cui all’art 70,
1° comma, conservi la propria validità. Questa opinione appare suffragata dal
disposto del 2° comma, dell’art. 70 che affida all’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni il compito di vigilare “sull'applicazione di quanto disposto
ai fini di cui al comma 1”. L’inosservanza delle prescrizioni di cui al 1° comma
dell’art. 70, quindi, renderebbe l’impresa fornitrice del servizio che ha
predisposto le condizioni generali di contratto inadempiente e passibile di
sanzioni da parte dell’Autorità. Potrebbe essere applicata, in particolare, la
sanzione amministrativa prevista dall’art. 98, comma 16.
In senso contrario è possibile osservare che un interpretazione letterale della
norma dovrebbe condurre a ritenere applicabile l’art. 1418, 1° comma, c.c. in
quanto il testo normativo non esclude espressamente la nullità del contratto.
L’art. 70, 2° comma, attribuisce all’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni poteri di fondamentale importanza ai fini dell’applicazione delle
disposizioni in esso contenute. L'Autorità’ in particolare ha il compito di
vigilare sull'applicazione di quanto disposto da1 1° comma e “può estendere gli
obblighi di cui al medesimo comma affinché sussistano anche nei confronti di
altri utenti finali”.
Per utente finale ai sensi dell’art. 1 (Definizioni,) deve intendersi: “un
utente che non fornisce reti pubbliche di comunicazione o servizi di
comunicazione elettronica accessibili al pubblico”. Sotto il profilo
dell’attribuzione di competenze la norma in esame non chiarisce quale degli
organi interni all’Autorità (il presidente, la commissione per le infrastrutture
e le reti, la commissione per i servizi e i prodotti e il consiglio) sarà
funzionalmente deputato allo svolgimento dei relativi compiti.
Nell’esercizio del proprio potere di vigilanza allorché l’Autorità accerti
eventuali violazioni delle disposizioni di cui al primo comma, potrebbe irrogare
sanzioni a carico del fornitore del servizio. Le sanzioni come “tutti i
provvedimenti del Ministero e dell'Autorità adottati sulla base delle
disposizioni del Codice” sarebbero suscettibili d’impugnazione innanzi al
giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (art. 9).
Il 1°comma dell’art. 70 nel definire l’ambito di applicazione delle prescrizioni
ivi contenute opera un riferimento ai contratti stipulati fra consumatori ed
imprese che forniscono la connessione o l'accesso alla rete telefonica pubblica.
Gli obblighi di cui al medesimo comma inoltre, possono essere estesi
dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni “affinché sussistano anche nei
confronti di altri utenti finali”. Queste disposizioni trovano un loro
completamento nel contenuto del 3° comma dell’art. 70, ai sensi del quale: “i
contratti stipulati tra consumatori e fornitori di servizi di comunicazione
elettronica diversi dai fornitori di connessione o accesso alla rete telefonica
pubblica devono contenere le informazioni elencate nel comma 1”. In definitiva,
quindi, l’art. 70 delinea un modello generale applicabile a tutti i contratti
aventi ad oggetto servizi di comunicazione elettronica, aventi come parti un
consumatore ed un fornitore di comunicazioni elettroniche.
Principio generale del nostro ordinamento giuridico è quello secondo il quale
“il contratto non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse
dalla legge” (art. 1372 c.c.). L’art. 1373 c.c., tuttavia, prevede che il
contratto possa attribuire “a una delle parti la facoltà di recedere” dal
medesimo.
Il diritto di recesso, eventualmente attribuito ad uno dei contraenti, deve
essere esercitato secondo le regole dettate dal codice civile. Al fine di
recedere dal contratto è necessaria una dichiarazione recettizia che deve
rivestire la stessa forma del negozio giuridico da cui si recede. Il recesso,
inoltre, non può essere parziale e può essere esercitato solo finché il
contratto non ha avuto un principio di esecuzione (art. 1373, 1° comma, c.c.).
E’ ammesso peraltro il patto contrario (art. 1373, 4° comma, c.c.).
Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica il recesso può essere
esercitato anche successivamente all’inizio dell’esecuzione, ma sono salve le
prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione (art. 1373, 2° comma, c.c.).
In tale caso, dunque, il recesso opera ex nunc.
Nel quadro di questa disciplina generale si inserisce il dettato dell’art. 70,
4° comma, ai sensi del quale: “gli abbonati hanno il diritto di recedere dal
contratto, senza penali, all'atto della notifica di proposte di modifiche delle
condizioni contrattuali”.
Si tratta di un diritto di recesso di fonte legale esercitabile in presenza dei
presupposti specificati dalla stessa norma. Allorché il fornitore dei servizi di
comunicazione elettronica decida di modificare le condizioni contrattuali deve
darne notizia ai propri clienti “con un adeguato preavviso, non inferiore a un
mese”, informandoli “nel contempo del loro diritto di recedere dal contratto,
senza penali, qualora non accettino le nuove condizioni”. Il mancato esercizio
del diritto di recesso equivale, quindi, ad accettazione della proposta di
modifica delle condizioni contrattuali.
Stante il carattere imperativo di questa norma, le disposizioni contrattuali con
essa contrastanti dovrebbero considerarsi nulle ex art. 1418, 1° comma, c.c..
Per quanto riguarda gli effetti del recesso, trattandosi di contratti ad
esecuzione continuata o periodica, sembra doveroso il richiamo all’art. art.
1373, 2° comma, c.c.. Questa norma consente il recesso anche quando il contratto
ha avuto un principio di esecuzione; in questo caso, però, “il recesso non ha
effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione”.
Il 5° comma dell’articolo 70 prevede una particolare ipotesi di decadenza “dal
contratto di fornitura del servizio” di comunicazione elettronica. La previsione
riguarda: “l'utente finale che utilizzi, o dia modo ad altri di utilizzare il
servizio per effettuare comunicazioni o attività contro la morale o l'ordine
pubblico o arrecare molestia o disturbo alla quiete privata”. La norma fa salva
“ogni altra responsabilità prevista dalle leggi vigenti”, sia essa civile,
penale o amministrativa.
Sul concetto di utente finale si rinvia, ancora una volta, alla definizione
contenuta nell’art. 1 lett. qq). Per quanto riguarda “le comunicazioni o
attività contrarie alla morale e all’ordine pubblico”, esse devono considerarsi
illecite secondo quanto dispone l’art. 1343 c.c.. Questa norma benché dettata in
tema di causa ha una portata generale. Il Legislatore del 2003, a differenza di
quello del 1942, parla di “morale” anziché di “buon costume”; questa divergenza
puramente terminologica non sembra aver inciso sull’essenza della disposizione.
In materia di “molestia o disturbo alla quiete privata”, utili parametri di
valutazione possono essere ricavati dall’interprete dalla cospicua
giurisprudenza in materia di tutela della riservatezza.
Il Legislatore predisponendo la disciplina oggetto di esame, così come avvenuto
in occasione di altri interventi normativi, ha cercato di tutelare il
consumatore, spesso vittima di soprusi ad opera delle grandi imprese.
Il contratto avente ad oggetto servizi di comunicazione elettronica, infatti, è
un tipico esempio di contratto di massa. Le imprese che stipulano contratti
sempre identici con una massa di clienti, di regola determinano unilateralmente
il contenuto del negozio mediante la predisposizione di moduli o formulari
prestampati. Da ciò scaturisce la necessità di tutelare il contraente “debole”
prevedendo appositi mezzi di tutela. In questa direzione si muovono le norme di
cui agli artt. 1341, 2° comma, 1469 bis e ter, 5° comma, c.c..
Non è peraltro esclusa una trattativa (art. 1469 ter, 5°), tant’è che le
clausole aggiunte prevalgono su quelle del modulo o formulario, qualora siano
incompatibili con esse, pur quando queste ultime non sono state cancellate (art
1342, 1° comma, c.c.).
Il contratto si conclude in ogni caso con la sottoscrizione da parte
dell’aderente e, nel dubbio, va interpretato contro il predisponente (artt. 1370
e 1469 quater c.c.).
Questa ricostruzione trova un’esplicita conferma nel disposto dell’ultimo comma
dell’art. 70 che fa salva “l'applicazione delle norme e delle disposizioni in
materia di tutela dei consumatori”.
Il Legislatore del 2003 così statuendo ha voluto escludere in modo perentorio la
tacita abrogazione di previgenti norme regolatrici della materia, rendendo
palese il principio ispiratore dell’articolo sin qui commentato.

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