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AZIENDALI: IL DATORE DI LAVORO PUÒ LEGGERLE.
Cassazione
Penale, sez. V, sentenza n. 47096 del 19 dicembre 2007.
Fatto
Omissis
Motivi della
decisione
Con la sentenza
impugnata il Tribunale di Torino, sezione di Chivasso, ha prosciolto il sig.
Mevio perché il fatto non sussiste dall’imputazione di avere abusivamente preso
cognizione della corrispondenza informatica aziendale della dipendente sig.ra
Caia licenziata poi sulla base delle informazioni così acquisite.
Ricorre per cassazione il pubblico ministero e deduce violazione dell’art. 616
c.p., lamentando che il giudice del merito si sia fondato sull’erroneo
presupposto della rilevanza della proprietà aziendale del mezzo di comunicazione
violato, senza considerare il profilo funzionale della destinazione del mezzo
telematico non solo al lavoro ma anche alla comunicazione, tutelata dall’art. 15
Cost.
Il ricorso è infondato.
L’art. 616 comma 1 c.p. punisce infatti la condotta di “chiunque prenda
cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero
sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione,
una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in
parte, la distrugge o sopprime”.
Sicché, quando non vi sia sottrazione o distrazione, la condotta di chi si
limita a “prendere cognizione” è punibile solo se riguarda “corrispondenza
chiusa”. Chi “prende cognizione” di “corrispondenza aperta” è punito solo se
l’abbia a tale scopo sottratta al destinatario ovvero distratta dalla sua
destinazione.
Ciò posto, e indiscussa l’estensione della tutela anche alla corrispondenza
informatica o telematica (art. 616 comma 4 c.p.), deve tuttavia ritenersi che
tale corrispondenza possa essere qualificata come “chiusa” solo nei confronti
dei soggetti che non siano legittimati all’accesso ai sistemi informatici di
invio o di ricezione dei singoli messaggi. Infatti, diversamente da quanto
avviene per la corrispondenza cartacea, di regola accessibile solo al
destinatario, è appunto la legittimazione all’uso del sistema informatico o
telematico che abilita alla conoscenza delle informazioni in esso custodite.
Sicché tale legittimazione può dipendere non solo dalla proprietà, ma
soprattutto dalle norme che regolano l’uso degli impianti. E quando in
particolare il sistema telematico sia protetto da una password, deve ritenersi
che la corrispondenza in esso custodita sia lecitamente conoscibile da parte di
tutti coloro che legittimamente dispongano della chiave informatica di accesso.
Anche quando la legittimazione all’accesso sia condizionata, l’eventuale
violazione di tali condizioni può rilevare sotto altri profili, ma non può
valere a qualificare la corrispondenza come “chiusa” anche nei confronti di chi
sin dall’origine abbia un ordinario titolo di accesso.
Nel caso in esame è indiscusso, e ne dà atto lo stesso ricorrente, che le
password poste a protezione dei computer e della corrispondenza di ciascun
dipendente dovevano essere a conoscenza anche dell’organizzazione aziendale,
essendone prescritta la comunicazione, sia pure in busta chiusa, al superiore
gerarchico, legittimato a utilizzarla per accedere al computer anche per la mera
assenza dell’utilizzatore abituale.
Ne consegue che del tutto lecitamente il sig. Mevio prese cognizione della
corrispondenza informatica aziendale della sua dipendente, utilizzando la chiave
di accesso di cui legittimamente disponeva, come noto alla stessa sig.ra Caia.
Infatti, secondo le prescrizioni del provvedimento del Garante per la protezione
dei dati personali n. 13 dell’1 marzo 2007, i dirigenti dell’azienda accedono
legittimamente ai computer in dotazione ai propri dipendenti, quando delle
condizioni di tale accesso sia stata loro data piena informazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.

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