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Stop del Garante ad un fornitore di servizi su Internet che inviava messaggi
pubblicitari non richiesti tramite posta elettronica. Accogliendo in parte il
ricorso di un consumatore, l’Autorità Garante ha ribadito che è illegittimo
utilizzare a scopi commerciali un indirizzo e-mail, che non compare in elenchi
pubblici, senza il consenso del destinatario. L’Autorità ha anche imposto alla
società di rifondere al consumatore le spese sostenute per il procedimento.
Il ricorrente aveva ricevuto da una società, che opera su Internet, una e-mail
con un offerta di hosting per un dominio web. Non avendo preventivamente
prestato alcun consenso a tale invio, l’interessato aveva dunque rivolto una
istanza alla società con la quale, opponendosi all’ulteriore utilizzo dei suoi
dati personali, chiedeva di conoscere in che modo fossero stati acquisiti i suoi
dati e il responsabile del trattamento. Non avendo avuto riscontro alla sua
istanza, si era rivolto al Garante chiedendo, oltre che la compensazione delle
spese sostenute per il ricorso, anche il risarcimento del danno morale.
La società, invitata dall’Autorità a fornire chiarimenti, affermava di non avere
designato un responsabile del trattamento e che, operando in Internet, a volte
inviava e-mail promozionali. L’indirizzo di posta elettronica dell’interessato
era stato acquisito da una società di marketing e in seguito cancellato.
Nel suo provvedimento il Garante ha accolto la richiesta del consumatore
ordinando alla società di interrompere l’utilizzazione dei dati personali in
quanto illegittima e di astenersi da ogni loro ulteriore trattamento, in
particolare dell’indirizzo e-mail. In base alla normativa vigente in materia di
privacy e a quella sulla protezione dei consumatori nei contratti a distanza -
ha chiarito infatti il Garante - l’invio di materiale pubblicitario rientra nei
casi in cui è vietato l’impiego della posta elettronica da parte di un fornitore
senza il consenso preventivo del consumatore (legge n.675/96 e decreto
legislativo n.185/99).
Il Garante ha inoltre ritenuto di dover procedere d’ufficio all’apertura di un
procedimento autonomo per la verifica della liceità e della correttezza del
trattamento complessivo dei dati e per valutare i presupposti per l’applicazione
di eventuali sanzioni. Ha dichiarato, invece, inammissibile la richiesta di
risarcimento dei danni che può essere rivolta solo al giudice ordinario.
La società, che non aveva dato immediato riscontro all’istanza dell’interessato,
è stata "condannata" al pagamento di 250 euro per le spese del procedimento, da
versare al consumatore.
subito un torto attraverso la rete, dunque, è che quest'ultimo si possa
rivolgere al giudice presso la propria città di residenza.
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